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Novembre 2016

Il racconto di Sara volontaria di Hanuman Onlus da Ottobre a Dicembre 2016 in Happy Home.

Happy Home

 

Scrivere un resoconto dell’esperienza fatta, per me  è compito arduo. 

Sarebbe necessario riproporre un diario che abbracci ogni singolo giorno in Happy Home,  a Benighat, dentro al mio e al cuore del Nepal.

Sono anche conosciuta per essere poco abile nella sintesi, ma tenterò in qualche modo di raccontare passaggi e pensieri fondanti e fondamentali, dei due mesi trascorsi, che non scorderò mai.

Al mio arrivo ero completamente stordita.  Ricordo il mio lunghissimo viaggio in bus che da Pokhara mi ha portato a Benighat. Periodo di Dashain. Traffico intenso. Molto caldo, la coda monsonica e la cappa di umidità gravavano su di me.

E poi, l’incontro con Suman, che con il suo immancabile sorriso e la sua inesauribile energia mi ha subito aiutato con in spalla uno dei miei zaini (il più pesante), ad affrontare quello che per me in quel momento è stato un sentiero inatteso e faticoso e che sarebbe poi invece diventata una consueta e familiare passeggiata dal paese ad Happy Home e viceversa, nel mio quotidiano lì.

Stordita anche dalle mie settimane precedenti , colme di avvenimenti … sono entrata dal cancello di quella che sarebbe diventata a tutti gli effetti la mia casa.

Ho incontrato così Sushila, Sharmila, Himala, Bimala, Janak, Buddhi Sagar, Sakal,  Bikram, Neera e Rohan (che il giorno dopo avrebbe lasciato la casa per raggiungere la sua famiglia durante il periodo di Dashain). Insieme anche alla intimidita cuoca Didi, questo gruppo di bambini tanto incuriositi da me, mi ha accolto tra silenzi e chiasso, nella loro casa.

Ed è così che abbiamo iniziato a guardarci, scoprirci, divertirci, contaminarci, relazionarci, in un lento processo in divenire, che ha costruito rapporti molto intensi, tra fatiche, stupori, entusiasmo, imprevisti e routines quotidiane.

Una delle prime richieste che mi sono state fatte (proprio la sera del mio arrivo) è stata quella di ballare con loro e di ballare qualche danza dell’Italia. Io ho scelto da subito di farmi insegnare le loro danze. E da quel momento, non abbiamo poi mai smesso di ballare insieme. Come terapia ad ogni problema e divertimento sempre assicurato.  

Ho cercato presto di capire la scansione della giornata, che però era differente dal resto dell’anno, in quanto durante tutto il mese di Ottobre le scuole sarebbero rimaste chiuse, fino alle prime settimane di Novembre.

Abbiamo avuto così il tempo fin da subito di trascorrere e condividere molto quotidiano insieme,  fare diverse passeggiate, visitare alcune scuole lì intorno, trascorrere i due giorni centrali del calendario del Dashain a casa di Suman.

Il mio borsone da Mary Poppins, pieno di una parte dei libri e del materiale che avevo preparato dall’Italia, era lì ad attendermi nella stanza. Una grande stanza tutta per me, che avrei colonizzato a breve, usando un letto come armadio, un altro come libreria e allestendo un tavolino pieno dei materiali che avevo portato con me e sempre più arricchito da quelli di recupero trovati e raccolti là. Appesi alle finestre, e tutt’intorno alle strutture dei letti a castello, disegni e ricordi dei bambini.

Ricordo il primo esperimento del “fare insieme” qualcosa. Sollecitata dai racconti che mi sono stati fatti. Durante il periodo di Dashain , altalena ed aquiloni erano i giochi di tutti i bambini in Nepal. Altalena per divertirsi durante le vacanze ed aquiloni che ad Ottobre volavano con il vento giusto.

L’altalena era stata appunto montata dietro ad Happy Home, dalla famiglia che abitava lì vicino. Ci abbiamo fatto qualche giretto ed ho scoperto che anche le altalene nepalesi richiedono adattamento per un’occidentale! Quel giorno, abbiamo raccolto dei legnetti ed iniziato a costruire i nostri aquiloni…  fatti di carta velina, ritagli e la struttura coi rametti di legno.  Tutti operosi e intenti a fare l’aquilone più bello, poi semplicemente intenti a costruirne uno che volasse veramente! Esperimento riuscito parzialmente. Ma l’energia che ne è uscita è stata tanta.

Farò qui un elenco di piccoli laboratori creativi che abbiamo condiviso nel tempo:

Aquilone (carta velina rametti)                    

Aereo con mollette da bucato - carta biscotti come ali e per decorarlo

Coroncine al femminile di lana cotta (con ago, filo e bottoni)

Barchette-aerei-cappellini-scatoline di carta e con la carta

Sottopentola fatto di mollette e colorato con colori a tempera e pennelli

Portapenne con bottiglia plastica

Bicchieri sonori – bottiglie plastica sonore - bacchetta di rametti legno su mastello di plastica per suonare

Fiori carta. Carta velina - carta biscotti

Polipo bottiglie plastica

Foglie di tante forme e dimensioni sono diventati animali

Foglie essiccate sono diventate quadretti

Ombre luci fatte con le torce, con cannucce e sagome di carta da proiettare (dopo aver letto un libro che descriveva la magia di luci ed ombre)

Tappi sughero per usare il colore a tempera

Bottiglie plastica: maschere, occhiali, porta fiori, porta incenso, porta materiali (elastici-colle-colori), porta spazzolini

Quaderni handmade con fogli di carta, filo, cartoncino riciclato (scatole biscotti)

Burattini di lana cotta per cantare una canzone in inglese

Scatoloni rivestiti da ritagli di carta, carte biscotti e pacchetti spezie; porta libri e materiali (lasciati a loro disposizione dopo la mia partenza ).

Tutte queste piccole creazioni sono state caratterizzate da molti momenti di grande piacere e sorprese, ma anche da fatiche da parte mia. L’energia esplosiva dei bambini e bambine mi ha fatto presto pensare alla necessità di un modo e un tempo giusto nel proporre e definire queste attività. Quindi anche di regole condivise e di definire il mio ruolo.

La creatività insita in loro era evidente, ma per qualcuno ancora celata, imbrigliata oppure impigrita, altre volte semplicemente molto caotica.  Ho fatto qualche passo indietro, ho osservato nel qui ed ora dei singoli giorni e degli eventi. Ho ascoltato anche me stessa e seguito ciò in cui credo nella mia essenza di educatrice.

Ho così iniziato a proporre materiali quasi per caso, iniziando a fare io qualcosa e aspettando loro, formando così piccoli gruppetti anche nel cortile, sulle scale di ingresso o dentro alla mia stanza (attrattiva iniziale che ho accolto e concesso come forma di relazione, ma che poi nel tempo abilmente regolamentato e permesso solo in rari momenti speciali). Abbiamo usato spesso la loro stanza dello studio, cogliendo l’occasione per riordinarla, più e più volte. I portapenne fatti con le bottiglie di plastica sono stati un modo per farlo. Un tentativo!

Con un tappeto prestatomi da Suman, allestivo questi laboratori, improvvisandoli in diverse occasioni. Al richiamo del tappeto, sempre alcuni seguaci erano assicurati.

L’idea che guidava le proposte è stata quella di  invitare liberamente chi voleva aggregarsi in quel momento per il nostro “fare”, piuttosto che decidere momenti stabiliti e attività predefinite per tutti. Questo sottendeva il mio pensiero sull’importanza della vera piacevolezza nel fare insieme qualcosa, della curiosità più spontanea e della consapevole possibilità di scegliere.  Nulla è mai stato imposto, eccetto i disegni da fare per il calendario!

Inoltre, data la già rigida e competitiva matrice dell’istituzione scuola, ho sentito l’urgenza di fare esplorare a loro stessi, ognuno diverso, ciò che li gratificava nel tempo della scoperta, ognuno a modo proprio. Non c’era quindi per forza il giusto e lo sbagliato, il bello ed il brutto. Ed ho combattuto per questo.

Mi sono anche a volte arrabbiata perché quando vedevo che erano insoddisfatti delle loro piccole “produzioni”, oppure annoiati, nasceva in me il desiderio di trasmettere che non era il risultato comunque e sempre che contava, ma anche il tempo impiegato per raggiungerlo, la determinazione e le diversità di ognuno messe in campo. Uniche ed irripetibili.

Durante le loro giornate avevano dei rituali di un loro stare insieme e di giocare, che non potevo non cogliere e rispettare. Quindi anche questo ha fatto da cornice alla mia presenza lì ed ho giocato con loro ai loro giochi.    

Paradossalmente, rispetto a quello che immaginavo, ho insegnato loro a non sprecare. I materiali che avevo portato erano limitati e di conseguenza bisognava trattarli con cura e riciclare anche i più piccoli ritagli. Ho dato valore a tutto ciò. Sono stata anche talvolta severa. Per trasmettere il messaggio che non stavamo usando cose speciali solo perché ero lì. Ma che questi materiali erano speciali in sé. E lo erano anche per me. Li ho coinvolti nella mia raccolta differenziata, dando loro modo di comprendere che ai materiali di uso comune e più semplici si poteva dare vita in modo diverso. Oltre e soprattutto, ad infondere il significato di non inquinare l’ambiente.  Concetto rafforzato da alcune immagini che, quando sono riuscita a scaricare da internet, gli ho mostrato: mari inquinati e discariche a cielo aperto, da cui sono rimasti esterrefatti. La potenza delle immagini è riuscita.  Non so l’eco nel tempo. Ma voglio essere tutt’ora fiduciosa se almeno qualche pensiero è stato volto in quella direzione.

 

Ho scoperto grandi talenti.

C’è chi amava tagliare e lavorare con la carta, andando ben oltre le mie aspettative ed i consigli o linee guida che davo. Mi riferisco ad esempio quando abbiamo fatto i fiori di carta o i ritagli e le figure per le ombre-luci. Alcuni abilissimi con le forbici, “sferruzzavano” veri capolavori, anche origami, scatoline, decorazioni, assemblati con strabilianti ed autonome capacità. Ho comprato poco prima della mia partenza, alcune forbici (non ce ne erano abbastanza per tutti) e colle,  per garantire alla voglia di inventare, mezzi quantomeno necessari.

Altri, con ago e filo hanno avuto occasione di sperimentare le loro abilità: concentrazione e fantasia. In particolare qualche bambino mi ha stupito per la incredibile manualità e pazienza che dimostrava.

Abbiamo creato anche alcune coroncine in lana cotta, declinate decisamente al femminile. Sono state indossate in diverse situazioni. Le ragazze e bambine si guardavano contente allo specchio.  Ma poi sono sparite. E così ho chiesto che fine avevano fatto! Tra omertà, sguardi, ed anche discorsi in nepalese (non so come, ma a volte riuscivo a capire!), ho intuito che qualcuna era stata buttata, perché rotta o rovinata. Ricordo ancora quel momento, l’ennesimo in cui ho dovuto fare chiarezza sul loro modo di pensare e vivere. Più in generale, quello che ho compreso è che loro non hanno il senso di “attaccamento” a niente. Nonostante fossero oggetti elaborati da loro e che secondo la mia logica, proprio per quello avessero un valore aggiunto ed insostituibile, ho dovuto comprendere che il superfluo, l’oggetto non utile a qualcosa, non è previsto e contemplato da loro. Quindi può essere buttato a cuor leggero, se non funzionante e in qualche modo anche non bello.

 

Una grande lezione per me. Ma nello stesso tempo, un’altra occasione di contaminazione reciproca.

Proprio da ciò che era emerso e grazie a Suman, abbiamo fatto in diversi momenti alcune discussioni al riguardo. Gli oggetti che costruivamo sono stati un mezzo per insegnare ad avere cura delle cose e dare significato al fatto che inventare qualcosa aveva un valore, proprio perché ognuno di loro lo aveva fatto con le sue mani ed il suo cuore.  

Col tempo, bastava dare qualche input e personalmente ognuno iniziava il suo processo creativo. In questo senso, il mio obiettivo è stato raggiunto. Non avevo intenzione di insegnare a fare qualcosa, bensì strutturare e veicolare il come farlo. L’intenzione che mi guidava ogni volta era quella di infondergli un senso di sicurezza nelle loro capacità e potenzialità, risvegliando la creatività ed il potere stesso della creatività in loro, dandogli le occasioni per capire che erano in grado di fare ed inventare e quindi il diritto di essere bambini e bambine. Viaggiatori della fantasia. E non solo della realtà. 

In alcune passeggiate proprio nei dintorni di Happy Home, ho fatto portare fogli e colori per disegnare quello che osservavano, direttamente. Abilissimi nel riprodurre, hanno avuto il modo di guardare ciò che li circondava e di guardarlo a modo loro, di trarre ispirazioni da quello e non da immagini precostituite dei loro libri, recinti all’immaginario.

E a proposito di immaginario, i libri che ho portato sono stati un tramite fondamentale, ma anche questo non certo semplice da proporre ed utilizzare. L’energia meravigliosa e confusionaria che li contraddistingue è stata talvolta ostacolo nella comprensione dell’oggetto libro, come non lo avevano mai visto, e così ho guidato ogni lettura, dovendo regolamentare l’uso del libro stesso, la lettura e comprensione delle immagini.

In piccoli gruppi abbiamo “letto” le immagini, raccontato alcune storie … possibili. Possibili perché in quegli albi illustrati le letture possibili sono numerose, cogliendo ed includendo le idee di ognuno. E “possibili” anche perché la lingua ne fermava e limitava molte sfumature. Ma è stato già fondamentale dare loro l’opportunità di guardare, riflettere, capire le immagini. Forza e richiamo che in ogni bambino, in ogni luogo si sprigiona, soprattutto nel segreto e nei sentieri della mente e del cuore!  

Questo è valso anche nelle mie giornate nelle classi a scuola. Altro capitolo coloratissimo della mia esperienza lì.

Fastidiosa in alcuni attimi anche a me stessa, ho dovuto ripetere infinite volte come sfogliarli, come guardarli, come trattarli. Ho cercato nella giungla della loro voglia di esprimersi, di dare una forma. Ma grazie alle letture guidate e grazie a tutti i bambini e le bambine … si sono aperte finestre sui loro mondi, davvero interessanti, intense, commoventi, inattese. Ho deciso di donare qualche albo, sia alla scuola privata che alla scuola pubblica. Tutto il restante, ovviamente è rimasto in Happy Home.

Tornando alla casa famiglia, abbiamo costruito un giorno dei quadernetti-libricini con carta colorata, cartoncino di riciclo, ago e filo. Ispirazione ai libri illustrati. Diventati dei diari-quaderni un po’ magici in cui loro potevano dare sfogo liberamente alla loro immaginazione. Nei giorni successivi, alcuni bambini ne hanno costruito altri. Iniziativa indipendente.

Di questo, sono lieta. Di questo e di tanto altro, ancora gioisco.

Il riutilizzo delle bottiglie di plastica (da portapenne, spazzolini, portaincenso ecc.) ne è un altro esempio. Dopo qualche tempo, trovavo esperimenti in giro che chi aveva voglia, faceva in completa autonomia creativa!

Perché è questo il pensiero che mi ha accompagnato sin dai primi tempi. La centralità su di loro. E non su di me.

Non posso non menzionare l’universo “Lego”, che in realtà sono convinta abbia oltretutto deviato l’interesse verso alcune attività da me proposte, perché erano troppo impegnati nel capire, assemblare e costruire… i mezzi più belli che io abbia mai visto!

E’ stata insomma, un’altra grandiosa scoperta e apprendimento da parte loro. Veicolata da me solo all’inizio. Con Suman, dallo stanzino … ho scelto qualche busta piena di lego. Ho cominciato insieme ai bambini e alle bambine ad attaccare i mattoncini, inventandomi macchinine molto semplici. Come dimostrazione. Qualche tempo dopo, abbiamo aggiunto altri colori e buste. Selezionato i manuali. Guardati insieme. Attaccato pezzi, sperimentati. E poi, è successo. Li ritrovavo completamente assorbiti dal pensare come potere riprodurre esattamente grazie ai manuali, mille veicoli diversi di mare, terra e cielo … pescando dai colorati mucchi di mattoncini. E ho cominciato a vedere nascere una molteplicità di mezzi perfetti. Con grande dovizia, hanno raggiunto risultati sorprendenti. Solo qualcuno faceva personali variazioni e rivisitazioni più libere dei veicoli. In ogni caso e con ogni modello, giocavano, giocavano e  giocavano.

 

Breve parentesi lingua e comunicazione.

Destreggiarsi tra l’inglese-nepalese di Suman e l’inglese dei ragazzi non è stato facile. A tratti, tragicomico.

Occasione per loro di migliorare. Occasione per me di imparare un po’ di nepalese.  Alcuni bambini particolarmente dotati hanno a mio avviso, una spiccata predisposizione per la lingua inglese. Altri, più stentatamente hanno fatto del loro meglio, per comunicare, essendo l’unico modo per relazionarsi a me ed io a loro. Molto esigenti quando mi insegnavano il nepalese, curiosi nell’imparare anche l’italiano. Intimiditi dall’esprimersi in inglese.

A volte per me è stato difficile essere continuamente circondata dal loro idioma ed essere esclusa dalla comprensione e quindi “isolata”. Trascorrere così tanto tempo lì ha fatto nascere in me la voglia di imparare la loro lingua, chissà, un giorno!  Nel qui ed ora dei miei mesi a Benighat periodicamente, insistevo con Suman sull’importanza di parlare inglese, di provarci, buttarsi, studiarlo, migliorarlo. Partendo dalla mia presenza lì, ma estendendo la necessità per loro stessi di impararlo bene per potere poi avere questa ricchezza nella loro vita. Arduo! Ma anche questa è stata una sfida quotidiana per tutti. E grazie alle fatiche, si evolve.

Durante le ore di studio, ci sono state vere e proprie lezioni di Italiano-Nepalese-Italiano con mediatore e studente stesso Suman. Ma anche insieme a tutti i ragazzi.

Il gruppo di bambini, bambine e adolescenti cresciuto, formato e seguito nel tempo da Hanuman Onlus è un gruppo solido, in cui si percepisce molto chiaramente un “Noi”, un senso di famiglia allargata e cooperante,  risultato del cammino che è stato fatto finora.  La scansione delle loro giornate nella realtà di vita fuori e dentro Happy Home è garante e ponte del loro processo di crescita, non solo scolastico. Tangibilmente sostenuta e supportata dal pensiero che l’associazione ha modulato in base al mondo culturale locale ed in base alle urgenze primarie che sono i diritti di questi “ragazzi di vita” nepalesi. 

Suman è il portavoce ed esecutore diretto di tutto questo.  Eletto meritevolmente a general manager della struttura e della famiglia, ha sulle sue spalle un grande carico, ma è abile nel sostenerlo, con fermezza, fede, energia e serietà. E’ una presenza centrale e vitale per tutti i bambini. Abbiamo condiviso sempre tutto ed entrambi, in quei mesi, siamo un po’ cambiati, perché siamo stati fianco a fianco nelle più svariate circostanze e problematiche, collaboranti ed aperti ad ascoltarci, sempre pronti a negoziare e riflettere sulle singole questioni giornaliere, sulla gestione di una famiglia. Io sono diventata “Didi”, che in nepalese significa sorella (sorella grande). 

I flussi di pensieri che mi attraversano scrivendo, sono veri e propri dipinti di vita interiore. E quando ero là sono stata letteralmente travolta da ondate molto potenti di sensazioni, sentimenti, domande di ogni forma e tipo, non facili da riconoscere e fermare.  Non esiste un vocabolario emotivo e tradurre la trama reale dei nostri vissuti è quasi impossibile. Forse non ne sono capace. O forse è anche solo prezioso tenerli stretti a sé, nei circuiti più intimi di noi stessi per poi farli trasformare ulteriormente. Ripercorrerli in azioni future, in quello che certamente è stato e continuerà ad essere un mio percorso personale  di crescita. E’ una finestra spalancata su quello spicchio di mondo e di infanzia. Sguardi, verità e sospiri sono nascosti negli angoli di ogni animo che ha respirato il Nepal, i suoi misteri e le sue magie. Nella convinzione che in quei luoghi e grazie alle relazioni con quei bambini e bambine, si possano trovare e ricercare le origini di molte risposte. 

 “Se un nome è necessario, allora questo nome sia meraviglia.Di meraviglia in meraviglia, l’esistenza si schiude.” (by Lao Tze).

 

By Sara Miodini

 

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